Il legislatore con la Legge n. 81/2017 (entrata in vigore il 14 giugno u.s.) ha provveduto a regolare su base nazionale lo smart working (o lavoro agile); una fattispecie, per la verità, già applicata da molte aziende italiane (basti pensare, giusto per citarne alcune, a Ferrero, Pirelli, ENEL, Fiat), ma che, fino all’intervento del nostro legislatore, aveva trovato una sua disciplina nell’eventuale contrattazione aziendale e nell’accordo interconfederale del 9 giugno 2004 sul telelavoro.

Va subito chiarito che l’intervento normativo non ha introdotto una nuova figura contrattuale, limitandosi a prevedere innovative modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, caratterizzate da flessibilità rispetto al luogo e all’orario della prestazione lavorativa.

Questa può infatti essere svolta non solo all’interno dell’azienda, ma anche al di fuori, senza alcun obbligo per il dipendente di lavorare da una postazione fissa; medesimo rimane il limite della durata massima giornaliera e settimanale della prestazione lavorativa previsto dalla legge e dai singoli contratti collettivi.

Disciplina smart working o lavoro agile

Lo smart working, che può anche trovare applicazione per un periodo determinato, deve trovare la propria disciplina in un accordo tra datore e lavoratore contenente:

a) le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa all’esterno della sede aziendale, anche con riguardo agli strumenti utilizzati,
b) l’indicazione dei tempi di riposo del lavoratore,
c) l’individuazione delle misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro,
d) la disciplina dell’esercizio del potere di controllo e disciplinare nel rispetto di quanto previsto dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori in merito ai controlli a distanza e, più in generale, il rispetto della normativa sulla privacy, nonché
e) l’individuazione delle condotte tenute all’esterno passibili di sanzioni disciplinari.

L’accordo di smart working così stipulato può comunque essere oggetto di recesso:

A) con un preavviso di almeno trenta giorni (termine che sale a novanta giorni nel caso di recesso del datore dal rapporto con un lavoratore disabile) o, senza preavviso, in presenza di un giustificato motivo se il contratto è a tempo indeterminato,
B) solo in presenza di un giustificato motivo se il contratto è a tempo determinato.

Da un punto di vista operativo, la norma prescrive che il datore di lavoro dia comunicazione al Centro per l’impiego territorialmente competente dell’eventuale accordo stipulato e di qualsiasi modifica o recesso che dovesse intervenire.

La legge pone poi l’accento sulla necessità di un trattamento paritario tra gli smart workers e i colleghi.

In particolare, allo smart worker deve essere garantito un trattamento economico e normativo non inferiore a quello applicato ai lavoratori addetti alle stesse mansioni, nonché il diritto all’apprendimento permanente.

Inoltre, il datore di lavoro deve garantire la salute, la sicurezza e il buon andamento degli strumenti tecnologici assegnati al lavoratore.

A tal fine incombe su di lui l’obbligo annuale di informativa scritta sui rischi generali e specifici connessi alla concreta fattispecie di smart working.

Infine, sul piano della copertura assicurativa contro gli infortuni, la legge estende allo smart worker la tutela prevista per gli altri lavoratori. Anzi, al riguardo, la tutela risulta addirittura rafforzata se si considera che il legislatore ha dilatato la nozione di infortunio in itinere coperto da polizza, includendovi il tragitto dall’abitazione al luogo prescelto per l’esecuzione della prestazione lavorativa.

E’ bene comunque precisare che il lavoratore ha un preciso dovere di collaborazione nell’applicazione delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e antinfortunistica.

Conclusioni

La disciplina qui tratteggiata potrebbe presentare qualche problema applicativo in assenza di interventi correttivi che, in particolare, tocchino i seguenti punti:

  • un coordinamento che consenta di raccordare la disciplina normativa e gli accordi aziendali preesistenti;
  • una precisa indicazione degli strumenti di cui può disporre il datore per controllare il lavoratore;
  • una riduzione dell’area di responsabilità datoriale in materia di sicurezza e prevenzione, allo stato estremamente estesa.

Aspetti questi sui quali si augura un pronto intervento degli organi legiferanti.

Pagina a cura di LR&Partners – Milano